Tema sul conflitto generazionale

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    Tema sul conflitto generazionale

    La storia dell'uomo procede per trasformazioni continue. Gli artefici del cambiamento sono individui che sovvertono tradizioni e consuetudini consolidate e propongono invenzioni, scoperte e concezioni nuove. Questi individui sono generalmente "uomini nuovi" che esprimono il diverso spirito dei tempi.
    I continui mutamenti sono di frequente un elemento di disordine e di instabilità, ma al tempo stesso costituiscono un insostituibile fattore dinamico e rinnovatore della società. Una società e una civiltà incapaci di rinnovarsi continuamente sarebbero con ogni probabilità destinate al rapido declino e all'inesorabile tramonto.

    Ecco perché la contrapposizione tra generazioni diverse, lungi dall'essere soltanto una pericolosa espressione di scontro e un possibile generatore di violenza, è un lievito necessario al progresso.

    Il conflitto tra giovani e anziani, tra padri e figli, non è un fenomeno nuovo. Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, in Totem e tabù riconosceva nell'uccisione (simbolica) del padre il fattore determinante della nascita della civiltà. E, nel campo della letteratura, senza bisogno di risalire fino alla tragedia greca, soffermandoci sulla più recente storia del romanzo, ricordiamo, per esempio, opere come l'ottocentesco Padri e figli dello scrittore russo Turgenev o il novecentesco I vecchi e i giovani del nostro Pirandello, narrazioni che mettono splendidamente in scena il contrasto spesso aspro tra generazioni diverse.

    Il conflitto generazionale è storicamente determinato e assume caratteristiche diverse a seconda del periodo storico e della collocazione geografica.

    Nell'attuale fase storica, dominata dall'affermazione di un capitalismo spregiudicato e da una grave crisi economica che investe tutto l'Occidente, il conflitto tra generazioni è particolarmente acuto.
    La precarizzazione e la flessibilità del lavoro, la forte concorrenza delle economie emergenti (Brasile, India e Cina su tutte), la globalizzazione dell'economia e l'aumento delle popolazioni, fuori dall'Occidente, che reclamano cibo, diritti e una qualità della vita più simile alla nostra hanno determinato nella società occidentale uno shock tremendo.
    Il lavoro sta diventando un miraggio (studiosi come Rifkin parlano di Fine del lavoro, De Masi di Sviluppo senza lavoro), il posto fisso è tramontato, le possibilità di entrare nel mondo della produzione per chi è fuori si sono ridotte drasticamente.
    I giovani non riescono a trovare dei "buoni lavori", corrispondenti al loro livello di istruzione e fanno sempre più fatica ad emanciparsi dalla famiglia di origine. Rimangono in casa coi genitori fino a trenta quarant'anni, dipendendo spesso da loro per il proprio sostentamento.
    Ciò ha delle inevitabili ripercussioni psicologiche. L'impossibilità di costituire una famiglia propria rende più difficile anche la costruzione di una identità psicologica autonoma. Rabbia, risentimento, sconforto e depressione sono i sottoprodotti di una situazione economica e sociale che impedisce ai giovani la libera espressione di sé e l'autorealizzazione.

    In Italia la situazione è, se possibile, ancora più drammatica, aggravata dalle peculiarità involutive della nostra società, così bene descritte da Pier Luigi Celli, rettore della Luiss, nel libro La generazione tradita. Gli adulti contro i giovani. Ma prima ancora, ne aveva parlato nel 1996 il sociologo Giuliano Da Empoli nel saggio Un grande futuro dietro di noi. I giovani e la crisi italiana.

    Una società, quella italiana, diretta da un'oligarchia gerontocratica dagli orizzonti limitati, caratterizzata da una politica omnipervasiva e immorale, dall'assenza di una vera competizione economica e della cultura del merito, svilita da corruzioni, ruberie, abusi di potere e mafie di ogni tipo, che rendono la condizione giovanile particolarmente critica.

    Altri cambiamenti culturali e degli stili educativi rendono la situazione ancor più complicata. Il giornalista Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, ha richiamato di recente l'attenzione (Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli) sui nuovi principi pedagogici con cui i genitori contemporanei allevano la prole. Uno stile educativo giustamente alternativo all'autoritarismo di un tempo e però caratterizzato da un eccesso di permissivismo e iperprotezione, che rende i nostri ragazzi incapaci di affrontare con grinta e determinazione una realtà sempre più dura e spietata.

    Di contro, quelli che un tempo venivano definiti irrimediabilmente "vecchi", mai come oggi sono longevi, in buona salute, istruiti, flessibili e capaci di dare ancora il loro valido contributo di sapere ed esperienza nelle aziende, nell'arte e nella cultura. Sono i baby boomer, la generazione nata negli anni del dopoguerra (1945-1965) che, pur invecchiati, sono stati gli inventori della contestazione giovanile, gli artefici della rivoluzione digitale, come Bill Gates e l'appena scomparso Steve Jobs, i rinnovatori delle scienze e sono magari ancor oggi capaci di esibirsi in estenuanti concerti rock come fa il settantenne Mike Jagger coi leggendari Rolling Stones.
    È quanto afferma, nel libro Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. Manifesto generazionale per non rinunciare al futuro il giornalista e scrittore baby boomer Federico Rampini, capace ancora, a più di cinquant'anni, di correre la maratona e convinto che gli anziani siano una risorsa preziosa e insostituibile per tutti. Pare, anzi, che negli Stati Uniti "vecchio" sia una parola proibita e che quella che un tempo veniva definita vecchiaia, sia oggi considerata un seconda età adulta, la cosiddetta Età del Bis, nel corso della quale sempre più persone, cinquantenni e sessantenni, si inventano attività, mestieri, stili di vita completamente originali e creativi.

    D'altronde sulla vecchiaia come perfetto compimento della vita umana, come piena manifestazione della personalità e del carattere di ciascuno di noi, si era espresso in uno dei suoi ultimi saggi, La forza del carattere, uno dei più importanti psicologi contemporanei, l'americano James Hillman.

    Certo, una società, come un organismo, per mantenersi in salute deve saper attingere ad energie nuove, deve potersi rigenerare. Nessuno come i giovani, con la loro energia e con la capacità di vedere il mondo con occhi nuovi, può dare un contributo fondamentale in tale direzione.
    Aggiornati, vitali, generosi, cosmopoliti, i ragazzi possono contribuire alla sviluppo di necessarie innovazioni nei più diversi ambiti della vita sociale, economica e culturale. È risaputo per esempio, che nuove discipline e nuove scienze hanno bisogno, per svilupparsi e affermarsi compiutamente, di menti giovani, motivate, curiose, flessibili e capaci di sforzi prolungati. Respingere, come accade oggi, i giovani ai margini è perciò un tragico e imperdonabile spreco che le società occidentali non possono permettersi.

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0 replies since 28/11/2013, 15:14   36 views
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